Ecco i numeri del report di Legambiente: 348 gli impianti in sofferenza ad alta e bassa quota monitorati, 132 quelli dismessi, 113 quelli temporaneamente chiusi e 103 i casi di “accanimento terapeutico”.
Autore: Redazione Greencity
Impianti per gli sci dismessi, abbandonati, ormai vecchi e obsoleti, oppure strutture per gli sport invernali temporaneamente chiuse per mancanza di neve, per problemi economici o per fine vita tecnica. E poi casi di accanimento terapeutico, con impianti che vanno avanti grazie ai contributi dello Stato. A questi si affiancano, per fortuna, storie di riconversione e buone pratiche di un turismo soft e più sostenibile che lascia ben sperare. È questo il doppio volto della montagna legata allo sci alpino e al turismo invernale che Legambiente denuncia e racconta nel report Nevediversa 2020 – Il mondo dello sci alpino nell’epoca della transizione ecologica. A parlar chiaro sono i numeri raccolti: 348 gli impianti in sofferenza monitorati nella Penisola, di questi 132 quelli dismessi e non funzionanti da anni, 113 quelli temporaneamente chiusi e 103 i casi che l’associazione ambientalista definisce di “accanimento terapeutico”. Strutture presenti in diversi regioni d’Italia ad alta e bassa quota, simbolo spesso di uno snow business che ha prodotto nel tempo un paesaggio fatto di strutture ormai vecchie e obsolete, mentre i cambiamenti climatici e l’aumento delle temperature stanno rendendo sempre più fragile la montagna. Tra i tanti casi simbolo al centro del report c’è l’ecomostro dell’Alpe Bianca, in Piemonte, a Tornetti di Viù (To), chiuso dal ’94 e frutto di una speculazione sbagliata. Lo stadio del salto con gli sci a Pragelato (To) e la pista da bob di Cesana (To), entrambi eredità dei fasti delle Olimpiadi di Torino 2006 e oggi ambedue chiusi, il primo nel 2006, il secondo nel 2011. Ci sono poi gli impianti in località Pia Spiss, Valcanale Ardesio (BG), in Lombardia, costruiti negli anni ’80 e chiusi nel ’97, per passare a quelli di Marsia di Tagliacozzo, in Abruzzo, costruiti nel 1961 e oggi in stato di abbandono. E poi in Calabria in località Ciricilla (CZ), dove l’unica stazione sciistica in provincia di Catanzaro è chiusa dal 2000. A questi vanno aggiunti gli impianti temporaneamente chiusi, situati per lo più in piccoli comprensori sotto i 1500 metri per i quali in questi anni si è cercato a fatica di garantire il funzionamento. Si va dal comprensorio di Argentera a Cuneo, in Piemonte, con gli impianti chiusi per la stagione 2019-2020 e le strutture che hanno superato il ciclo di vita tecnica dei 40 anni, a quelli in località Rocca Rovereto, in Liguria, che funzionano solo in parte. In località Col de Joux Saint Vincent (AO), in Valle d’Aosta, l’impianto è sospeso per revisione e per carenza di neve. Anche nel Centro Italia la situazione non è delle migliori, ad esempio nelle Marche, a Frontignano – Ussita (MC), le strutture sono ferme per danni causati dal sisma. Problema analogo in Abruzzo, a Prato Selva e Prati di Tivo, Fano Adriano (TE), dove gli impianti sono chiusi da anni per danni legati al sisma, ma anche per la mancanza di manutenzione straordinaria. In Sardegna gli impianti di Bruncuspina e S’Arena risultano al momento non operativi. In Sicilia in località Piano Battaglia, gli impianti ammodernati nel 2009 con un cofinanziamento pubblico-privato sono al momento chiusi per problemi burocratici. “Negli anni del boom economico – spiega Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi Legambiente– i territori hanno localizzato impianti spesso in aree non idonee alla pratica sciistica, anche a quote molto basse, addirittura sotto i 1000 metri s.l.m. Parliamo di impianti – tra skilift, seggiovie e cabinovie – che abbiamo censito in questo report ricordando al tempo stesso come i cambiamenti climatici stiano rendendo sempre più vulnerabili e fragili le montagne. Siamo convinti che in questi anni l’economia dello sci alpino non sia stata capace di cambiare le strategie alla luce dei cambiamenti climatici in atto, ora però è giunto il momento di invertire la rotta. Per questo chiediamo la definizione di una strategia nazionale per lo sviluppo della montagna che tenga conto anche di un turismo invernale più sostenibile. Come Legambiente continueremo a vigilare sul territorio montano e l’idea è quella di creare un osservatorio dei relitti e delle riconversioni di stazioni e comprensori montani”.
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