Legambiente: nell’anno della pandemia in Italia balzo nel numero delle adozioni di gatti
I dati del X rapporto nazionale Animali in città di Legambiente. Prato, Verona e Modena i Comuni più virtuosi. A Milano il minor numero di cani in canile in rapporto ai cittadini.
Autore: Redazione Greencity
Performance per lo più fallimentari, ancora una volta disomogenee a livello nazionale, spesso inefficaci nel rispondere alle sfide che investono i territori e la loro vivibilità: nell’anno della pandemia, l’attenzione e la cura della pubblica amministrazione per gli animali risultano ancora insufficienti e inadeguate a garantire il benessere nei centri urbani. È quanto emerge dal X rapporto nazionale Animali in città elaborato da Legambiente con il patrocinio di Ministero della Salute, Anci, Conferenza delle regioni e delle province autonome, Enci, Fnovi, Anmvi e Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva. All’indagine di Legambiente hanno risposto in modo completo 656 amministrazioni comunali (l’8,3% del campione contattato), tra cui il 50% dei Comuni capoluogo, e 50 aziende sanitarie (il 44,6% del campione). Quattro le macroaree di valutazione delle performance: quadro delle regole (regolamenti comunali e/o ordinanze sindacali), valevole solo per i Comuni; risorse impegnate e risultati ottenuti; organizzazione delle strutture e servizi al cittadino; controlli
.I numeri 2020: la fotografia nazionale. Quasi la metà (il 47,4%) delle amministrazioni comunali rispondenti dichiara di avere attivato un ufficio o un servizio dedicato agli animali, oltre i tre quarti (il 76%) delle aziende sanitarie di avere almeno un canile sanitario e/o un ufficio di igiene urbana veterinaria: ciononostante, poco meno di un Comune su 13 (il 7,8%) raggiunge una performance almeno sufficiente, più di quattro su cinque aziende sanitarie (l’82%) si attestano sui medesimi livelli. Il resto del campione contattato in larga parte non risponde o registra performance valutate da insufficienti a pessime. Le migliori performance si registrano aPrato, Verona e Modena, rispettivamente al primo, secondo e terzo posto della classifica riguardante i Comuni, nell’ATS Brescia, ATS della Montagna e Asl Vercelli per quanto concerne, invece, le aziende sanitarie. Guardando ai costi sostenuti da Comuni e aziende sanitarie per i servizi ai cittadini e ai loro amici a quattro zampe,nel 2020la spesa pubblica nel settore (in calo rispetto al 2019) è stimabile in quasi 193 milioni di euro, pari a 14 volte la somma impegnata per tutte le 31 aree marine protette in Italia o a 55 volte quella destinata alle 19 riserve naturali statali. La spesa media pro capite si attesta invece a 2,4 euro per i Comuni e a 0,85 euro per le aziende sanitarie. Vale la pena sottolineare come la gran parte dei costi in Italia sia assorbita dalla gestione dei cani presso i canili rifugio, per cui i Comuni spendono ben il 61,8% del bilancio destinato al settore: strutture indispensabili nel modello attuale, ma oggettivamente fallimentari rispetto a obiettivi credibili di benessere animale e contenimento delle spese a carico delle pubbliche amministrazioni.
Nell’anno della pandemia, secondo i dati forniti dai Comuni, cresce di oltre tre volte, rispetto al 2019,il numero di gatti adottati (42.081 nel 2020, contro i 12.495 del 2019), parallelamente, tuttavia, si assiste a un calo nelle adozioni dei cani nei canili che diminuiscono del 20% rispetto all’anno precedente (dalle 19.383 nel 2019, alle 16.445 nel 2020), coerentemente con i dati dichiarati di nuove iscrizioni in anagrafe canina (85.432 nel 2019, contro le 67.529 nel 2020). A livello nazionale, il rapporto tra cani iscritti all’anagrafe degli animali d’affezione e cittadini è di un cane ogni 4,7 abitanti, con Umbria e Sardegna che primeggiano in positivo (rispettivamente un cane iscritto ogni due cittadini e un cane ogni 2,8), e Puglia e Calabria fanalini di coda (rispettivamente un cane iscritto ogni 7,4 e ogni 9,6 cittadini). Guardando agli amici felini, il rapporto nazionale è di un gatto iscritto all’anagrafe degli animali d’affezione ogni 72,4 cittadini: a primeggiare, in questa categoria, sono Valle d’Aosta (un gatto ogni 31,4 abitanti) e PA Bolzano (un gatto ogni 32,6 cittadini).
Il capitolo del controllo demografico rimane senz’altro tra i più spinosi: se negli ultimi 30 anni le popolazioni di cani e gatti sono state lasciate crescere senza alcuna pianificazione, allo stesso modo si sta assistendo al proliferare in città di ulteriori specie animali da compagnia (spesso selvatiche) quali roditori, uccelli, invertebrati, senza una strategia pubblica preventiva. Meno della metà delle Aziende sanitarie (il 40% del campione) dichiara di effettuareazioni di prevenzione del randagismo delle popolazioni (padronali e non) di cani e gatti: i numeri del 2020 ci dicono di6.888 cani e 19.740 gatti sterilizzati, cifre del tutto insufficienti per una seria politica di controllo demografico se confrontati con il numero dei cani dichiarati entrati nei canili sanitari (36.368), con i gatti presenti nelle colonie feline (313.288).
I cani vaganti rappresentano il più significativo costo economico a carico della collettività, oltre che in termini di sofferenza e conflittualità degli animali d’affezione. L’indagine di Legambiente monitora i risultati raggiunti dai diversi territori italiani ogniqualvolta un cane vagante viene “preso in carico” dall’amministrazione pubblica. Ebbene nel 2020, in media, nei Comuniogni 10 cani catturati 8,8 hanno trovato felice soluzione tra restituzione ai proprietari, adozione e/o reimmissione come cani liberi controllati, con un rapporto di 1:1,4. Ma le situazioni sono differenti a seconda dei territori considerati, come mostrano i casi negativi di Campi Salentina (LE), dove su 5,4 cani entrati nei canili solo uno ha trovato una soluzione; di Sciacca (AG), uno su 4,9; Catania, 1 su 4. Ai poli opposti troviamo Napoli, dove per ogni cane preso in carico, 8,7 hanno trovato una soluzione, anche se in questo caso la quasi totalità dei cani catturati è stata rilasciata sul territorio; Priolo Gargallo (SR), 4 su 1, e Corato (BA), 2 su 1. Per quanto riguarda le Aziende sanitarie, 9 cani su 10 hanno trovato una soluzione felice, ma anche qui le performance variano: su tutte, in negativo, spicca quella dell’ASP Ragusa, dove su 21,5 cani presi in carico nei canili appena uno ha trovato una soluzione. In positivo, si segnala Area Vasta 1 (PU) con 6,6 cani che escono dal canile per uno che entra.
I dati disponibili al 31 dicembre 2020, raccontano di un Nord particolarmente virtuoso sul fronte della popolazione canina ospitata nei canili, con Milano al primo posto, con appena un cane in canile ogni 10.190 cittadini, seguita da Bolzano (un cane ogni 7.703) e da Verona (un cane ogni 7.402). Numeri in positivo che fanno il paio con quelli forniti dalle Aziende sanitarie e che vedono ai primi posti ATS della Montagna (un cane in canile ogni 296 mila abitanti); ATS Insubria (uno ogni 295 mila) e ATS Brescia (uno ogni 96 mila). Ai poli opposti, si segnalano invece i Comuni di Premilcuore (FC) con un cane in canile ogni 9,8 cittadini; Carloforte (SU), un cane ogni 9,6, Fratte Rosa (PS), uno ogni 2,1 cittadini, e le aziende sanitarie ASReM (un cane ogni 271 abitanti), ASL 1 Abruzzo (uno ogni 211), ASL Caserta (uno ogni 185 abitanti).
Ci sono poi le esperienze dei cani liberi controllati (o cosiddetti cani di quartiere), presenti in un Comune su 25: interessante notarne la ripartizione, dato che per ben l’84,6% si trovano al Sud e nelle Isole, con Palermo al primo posto con 3.402 cani liberi registrati, per il 15,4% al Centro, mentre nessun caso si registra al Nord.
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