Le parole di Carlo Corazza, Direttore della Rappresentanza della Commissione dell'Unione Europea a Milano, per i lettori di GreenCity
Autore: Carlo Corazza
Ormai siamo alla resa dei conti. C'è la certezza scientifica che il pianeta non può reggere più di due gradi di riscaldamento, che si è già scaldato di quasi un grado e che questo riscaldamento è antropico. Il dibattito "scientifico" sull'origine antropica o meno delle cause di questo riscaldamento è una caratteristica del tutto italiano, in altri paesi non esiste. La scienza ha preso una posizione netta. Copenhagen è un incontro politico, un forum internazionale, un esperimento di governance globale, molto importante anche da questo punto di vista, che prende atto di un dato scientifico che non è in discussione nell'ambito dell'appuntamento nella capitale danese. È dato per certo. Il dato economico è che il riscaldamento globale è anche un costo. La soluzione però è molto difficile. A cosa si deve questa difficoltà? La soluzione del problema prevede che ogni stato sovrano si autodisciplini e accetti degli oneri, accetti di pagare un costo. Il che potrebbe anche essere una cosa possibile se ognuno dovesse fare proporzionalmente, con un criterio oggettivo, la sua parte, ma così non è. Ci sono paesi che hanno inquinato di più, e che quindi secondo altri dovrebbero fare più sforzi, e paesi che hanno inquinato di meno, ma che potenzialmente inquineranno molto in futuro. Quindi c'è anche un problema di equità. L'interesse all'accordo è di tutti, non c'è nessun paese che dica o possa dire "no, a me Copenhagen non interessa, il clima è una bufala, ecc". Il problema è trovare un equilibrio che soddisfi tutti e non blocchi lo sviluppo di paesi emergenti come la Cina e l'India e soprattutto che sia sostenibile politicamente da Barack Obama. L'approccio tenuto da molti in questi ultimi giorni su un fallimento annunciato dell'appuntamento, che Obama e la Cina si sono ormai messi d'accordo alle spalle del resto del mondo, non mi piace. Il tema non può essere affrontato con superficialità, è un tema complicato e complesso. Bisogna partire dal presupposto che c'è la volontà politica sia della Cina che degli Stati Uniti, oltre che naturalmente dell'Unione Europea, del Giappone e via dicendo, non solo di arrivare a un accordo, ma a un documento finale che sia giuridicamente vincolante. L'accordo politico c'è, è già stato raggiunto negli appuntamenti precedenti a Bali e in occasione delle riunioni del G8. Cosa succederà veramente a Copenhagen è difficile dirlo. È chiaro che anche non si raggiungesse un accordo vincolante in queste due settimane di discussione non sarebbe un dramma, saremmo comunque all'interno di un processo che a mio avviso necessariamente porterà a un accordo giuridicamente vincolante. Non ci sono alternative: senza questo accordo le conseguenze sul mercato internazionale sarebbe pesantissime. Pensate anche soltanto ad un mercato come quello dell'Unione Europea, il primo al mondo per numero di consumatori e capacità economica, che si trovasse a dover competere con paesi non tenuti a rispettare le stesse regole in materia ambientale. Ci sarebbero conseguenze pesantissime.
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