Riforma Politica Comune Pesca, Greenpeace: risultato deludente dal Consiglio UE
Negli ultimi dieci anni abbiamo perso un terzo dell'occupazione del settore e i due terzi degli stock europei sono sovra sfruttati. Una percentuale che nel Mediterraneo sale al 95 per cento.
Autore: Redazione GreenCity
L'ennesima maratona sulla riforma della Politica Comune della Pesca (PCP) si è conclusa a Bruxelles con un risultato insoddisfacente. Greenpeace commenta così l'esito della riunione dei ministri dell'Unione iniziata lunedì scorso con l'obiettivo di rivedere il mandato del Consiglio UE sui maggiori aspetti della riforma prima del round conclusivo del negoziato con il Parlamento Europeo. "Ci sono voluti mesi di discussione per spostare di pochissimo la posizione dei vari Paesi e, nonostante questo, l'accordo raggiunto oggi manca della determinazione necessaria a far cambiare rotta alla pesca europea. - commenta Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace Italia - Quest'accordo serve solo a tenere vivo il negoziato col Parlamento che, forte di un grande supporto politico e di pubblico, è il solo a poter far andare in porto la riforma che serve al settore". Come atteso, la maggior opposizione a un compromesso è venuta da Paesi come Spagna, Francia, Portogallo e Belgio che si oppongono in particolar modo all'introduzione di una data certa per il recupero degli stock ittici europei, insistendo per misure ambigue che evitano di fare chiarezza sulla questione degli scarti da pesca. La Germania si è spesa molto per un accordo migliore mentre la Svezia è l'unico Stato Membro che ha rifiutato di sottoscrivere la posizione comune del Consiglio per la sua assenza di ambizione. A febbraio 2013, il Parlamento Europeo ha adottato con una schiacciante maggioranza una proposta di revisione della PCP che ribalta il complesso delle regole che hanno portato a decenni di pesca eccessiva e distruttiva, al declino della pesca comunitaria e degli stock ittici. Il Parlamento Europeo deve adesso decidere se ci sono, con la nuova posizione del Consiglio, le condizioni per continuare il negoziato. È chiaro però che se i ministri non sono disposti a un compromesso ragionevole c'è il rischio di uno stallo che renderà impossibile concludere la riforma entro il 2013 ovvero prima delle prossime elezioni europee, nella primavera 2014.
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