Il dossier di Legambiente dal titolo
H₂O – la chimica che inquina l’acqua fa il punto sulle sostanze inquinanti immesse nei corpi idrici, con numeri, dati e un focus dedicato alle sostanze emergenti (tra queste, fitofarmaci, farmaci a uso umano e veterinario, pesticidi di nuova generazione, microplastiche), raccogliendo anche 46 storie di acque contaminate. Nella Penisola circa
il 60% dei fiumi e dei laghi non è in buono stato e molti di quelli che lo sono non vengono protetti adeguatamente. Su dati del registro E-PRTR (European Pollutant Release and Transfer Register), l’associazione ambientalista calcola che
dal 2007 al 2017 gli impianti industriali abbiano immesso, secondo le dichiarazioni fornite dalle stesse aziende, ben 5.622 tonnellate di sostanze chimiche nei corpi idrici. Per questo, alla vigilia della
Giornata mondiale dell’Ambiente, Legambiente ricorda che la corretta gestione e la cura della risorsa idrica devono essere una priorità del Paese insieme alle bonifiche e al rafforzamento della Direttiva Quadro Acque, per mantenere gli obiettivi senza nuovi slittamenti e sotto la revisione degli Stati membri. Lancia inoltre
un appello al Governo, affinché una parte considerevole dei mille miliardi di euro stanziati dall’Ue per le politiche ambientali e climatiche finanzi il Green New Deal italiano per favorire il recupero dei ritardi infrastrutturali, l’adeguamento ed efficientamento degli impianti di depurazione e della rete fognaria e acquedottistica, gli interventi di riduzione del rischio idrogeologico.
“Il raggiungimento di una buona qualità ecologica e chimica dei corpi idrici in Europa, che la Direttiva Quadro Acque (2000/60/CE) aveva fissato al 2015, non è più procrastinabile – dichiara
Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente – Diverse le cause del mancato conseguimento dei risultati, tra cui gli scarsi finanziamenti erogati, un’attuazione troppo lenta della direttiva da parte degli Stati membri e un’insufficiente integrazione degli obiettivi ambientali nelle politiche settoriali. L’Italia, da questo punto di vista, è in forte ritardo. La piena attuazione della Direttiva Acque, peraltro, è fondamentale per contrastare i cambiamenti climatici: serve a migliorare lo stato ecologico dei corpi idrici, restituire spazio ai fiumi, mitigare il rischio alluvioni ed evitare alterazioni dei corridoi fluviali rispettando la naturalità. Per una ripartenza post-Covid, occorre che anche le aziende facciano la loro parte”.
Il dossier racconta anche
casi di acque inquinate spesso ancora aperti nel nostro Paese che da decenni aspettano bonifiche e riqualificazioni. Partendo da
Porto Marghera in Veneto, primo sito nazionale da bonificare individuato nel 1998, passando per la
Sardegna con il forte inquinamento da metalli pesanti nella
zona industriale di Portoscuso e quello da
sostanze organiche, solventi clorurati e idrocarburi nella
zona industriale di Porto Torres, per arrivare in
Sicilia, a Milazzo, Gela, Augusta Priolo e Melilli, aree devastate dalle industrie del petrolchimico. In mezzo, altri Siti d’interesse Nazionale: dalla
laguna di Grado e Marano in Friuli alla
Caffaro di Brescia in
Lombardia; dai
siti toscanidi
Piombino, Livorno e Orbetello a quelli
marchigiani di
Falconara Marittima; dalla
Valle del Sacco nel Lazio ai
siti pugliesi di
Brindisi, Taranto e Manfredonia.
Tutte aree dove IPA, PCB, metalli pesanti, diossine, pesticidi e idrocarburi hanno portato a problemi sanitari oltre che ambientali. E ancora, la
Campania, con l’inquinamento del
fiume Sarno e delle
falde del Solofra, senza dimenticare la
Terra dei Fuochi; la contaminazione del
lago Alaco in Calabria, quella delle acque potabili dei
comuni metapontini in Basilicata, del
lago d’Orta in Piemonte o dell’acquifero del
Parco Nazionale del Gran Sasso, in Abruzzo, dove Legambiente è parte civile nel procedimento penale in corso.
Sono solo alcune delle decine di casi segnalati nel dossier, che si avvale dell’apporto dei circoli locali e regionali di Legambiente. Come per il focus sui pesticidi e sul
glifosate in Emilia Romagna. O, ancora, per gli approfondimenti sull’
inquinamento da PFAS (composti chimici che rendono le superfici trattate impermeabili ad acqua, sporco e olio): con i casi della
provincia d’Alessandria, in
Piemonte, dove è in fase di autorizzazione un progetto che prevede l’utilizzo di una nuova sostanza (cC604) dagli effetti potenzialmente dannosi in un’area in cui “l’eccesso di ricoveri e di mortalità è segnalato da anni”; del
Veneto, dove l’inquinamento da PFAS è storicamente dovuto allo scarico di un’industria chimica e interessa le
province di Vicenza, Verona e Padova, minacciando la salute di 300 mila persone; della
Lombardia, dove l’ARPA ha rilevato PFAS in tutti i bacini della pianura.
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