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Carovana dei ghiacciai: su tutto l’arco alpino in atto trend di riduzione delle masse glaciali

Pubblicato il: 20/09/2021
Autore: Redazione GreenCity
Si chiude la campagna 2021 di Legambiente con il supporto del Comitato Glaciologico Italiano. Tutti i tredici ghiacciai alpini monitorati più il glacionevato del Calderone, in Abruzzo, perdono superficie e spessore frammentandosi e disgregandosi in corpi glaciali più piccoli.
A causa del riscaldamento climatico i ghiacciai perdono superficie e spessore, “rifugiandosi” sempre più in alta quota e frammentandosi e disgregandosi in corpi glaciali più piccoli. A testimoniarlo in maniera tangibile è lo stato di salute di alcuni ghiacciai alpini come quelli dell’Adamello che hanno perso oltre il 50% della superficie totale, quelli del Gran Paradiso circa il 65%. In Alto Adige 168 ghiacciai si sono frammentati in 540 unità distinte. In Friuli Venezia Giulia il ghiacciaio orientale del Canin oggi ha uno spessore medio di 11,7 m, circa 150 anni fa superava i 90 m. E se ci spostiamo sulla vetta più alta degli Appennini, il Gran Sasso, qui il ghiacciaio del Calderone, dal 2000, si è suddiviso in due glacionevati e risponde alle oscillazioni climatiche in modo molto più veloce rispetto ai ghiacciai presenti sulle Alpi. 
È quanto emerge in sintesi dal bilancio finale della seconda edizione di Carovana dei ghiacciai, la campagna di Legambiente con il supporto del Comitato Glaciologico Italiano (CGI), e con partner Sammontana e partner sostenitore FRoSTA, che dal 23 agosto al 13 settembre 2021 ha monitorato lo stato di salute di tredici ghiacciai alpini più il glacionevato del Calderone in Abruzzo, per sensibilizzare le persone sugli effetti che il riscaldamento climatico sta avendo sull’ambiente glaciale.
In questa seconda edizione di Carovana dei ghiacciai, la campagna ha fatto tappa sul ghiacciaio dell’Adamello tra Lombardia e Trentino, su quelli della Val Martello in Alto Adige, sui ghiacciai del Canin in Friuli Venezia Giulia, su quello del Calderone in Abruzzo e a quelli nel Parco nazionale del Gran Paradiso tra Piemonte e Valle d’Aosta, verificando così gli effetti dei cambiamenti climatici sul terreno e attraverso il confronto con i dati storici prodotti dal Comitato Glaciologico Italiano, che dal 1895 opera in Italia con il compito di promuovere e coordinare le ricerche nel settore della glaciologia.
Da metà ottocento i ghiacciai presenti sul Massiccio dell’Adamello, il più esteso in Italia, hanno perso oltre il 50% della superficie totale. Sempre sull’Adamello si sta registrando una progressiva riduzione di spessore pari a 10-12 metri dal 2016 ad oggi. Oltre la regressione, i ghiacciai subiscono fenomeni di disgregazione e frammentazione che hanno portato i 168 ghiacciai dell’Alto Adige a frammentarsi in 540 unità distinte. Nel 2005 erano solo 330 a dimostrazione di come il fenomeno di frammentazione dei ghiacciai stia accelerando. Anche la novantina di corpi glaciali del Gran Paradiso, altra area osservata con la CdG, è particolarmente sensibile al riscaldamento atmosferico: in meno di due secoli, dalla fine della Piccola Età Glaciale (1820-1850), i ghiacciai del Gran Paradiso hanno perso circa il 65% della loro superficie, passando da circa 88 km2 a meno di 30 km2.  
I ghiacciai del Canin hanno perso complessivamente in un secolo circa l’84% dell’area che ricoprivano ed il 96% del loro volume. I dati conoscitivi complessivi sulla deglaciazione delle Alpi Giulie raccontano di come la superficie glacializzata sia passata dai 2.37 km2 di fine Piccola Età Glaciale (PEG), terminata intorno al 1850, ai 0.38 km2 attuali. Le stime della riduzione volumetrica indicano un passaggio delle masse glaciali dai 0.07 km3 circa della PEG ai circa 0.002 km3 di oggi. Alla fine della PEG, alcuni settori del ghiacciaio del Canin superavano i 90 m di spessore, mentre oggi il ghiacciaio orientale del Canin ha uno spessore medio di 11.7 m con valori massimi di circa 20.
C’è anche da sottolineare che per l’area del Canin i cambiamenti climatici, caratterizzati da estati sempre più roventi, ma anche dall’aumento di eventi estremi di precipitazione nevosa, hanno comportato un lieve aumento di volume dei piccoli corpi glaciali delle Alpi Giulie negli ultimi 15 anni di osservazioni. Ma questo aumento nevoso paradossalmente è anch’esso un segno del riscaldamento climatico, poiché esso comporta l’aumento degli eventi estremi come uragani, forti temporali, alluvioni, e tempeste. Inoltre, un evento estremo può significare il persistere di un evento più a lungo rispetto alla norma; ad esempio, per molte settimane nello stesso luogo possono mancare precipitazioni, oppure al contrario sempre nello stesso luogo può piovere o nevicare a lungo così com’è successo nell’area del Canin.
Analoga peculiarità è stata riscontrata sul glacionevato del Calderone. Questo corpo glaciale di modestissime dimensioni, dal 2000 è suddiviso nei due glacionevati (Calderone superiore ed inferiore) ricoperti del solo detrito a fine estate, e risponde alle oscillazioni climatiche in modo molto più veloce rispetto ai ghiacciai presenti sulle Alpi. La sua posizione al centro dell’area mediterranea e la ridotta distanza dal mare rendono particolarmente intensi gli effetti dal punto di vista meteorologico che si manifestano con gli elevati apporti nevosi a cui si contrappongono le sempre più frequenti ondate di calore africane con le sabbie in sospensione che favoriscono in maniera molto ingente i fenomeni di fusione. Questa sua capacità di risposta veloce lo rende particolarmente idoneo per gli studi sui cambiamenti climatici.

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Categorie: Ambiente

Tag: Ambiente

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