Nell’Antartide Orientale, enormi ghiacciai si trovano in bacini al di sotto del livello del mare. Comprendere la risposta di questi ghiacciai all’innalzamento delle temperature atmosferiche e oceaniche è cruciale per migliorare gli scenari futuri di innalzamento dei mari.
Uno studio internazionale
pubblicato su Nature Communications dall’Università Ca’ Foscari Venezia in collaborazione con il centro di ricerca francese Lsce, il Cnrs e l’Università Roma Tre dimostra
che i ghiacciai costieri dell’Antartide Orientale durante i passati periodi caldi non erano stabili, a differenza di quanto indicato fino ad oggi dalla maggior parte della letteratura scientifica.
Lo studio si è concentrato sui ghiacciai costieri ospitati dal bacino subglaciale di Wilkes, la cui fusione potrebbe far innalzare il livello del mare globale di ben 3 metri. Durante i passati periodi caldi del pianeta, rivela la ricerca, questi ‘ghiacciai al di sotto del livello del mare’ sono stati molto più sensibili all’aumento delle temperature dell’Oceano Australe di quanto finora ipotizzato.
I ricercatori sono giunti a questo risultato analizzando la composizione isotopica delle molecole di acqua contenute in una carota di ghiaccio nota come “Taldice” (dal nome del progetto europeo che ne ha finanziato l’estrazione) proveniente da Talos Dome, una zona semi costiera dell’Antartide Orientale. Gli isotopi dell’acqua consentono agli scienziati di ricostruire le temperature del passato.
Dal confronto dei risultati della carota Taldice con quelli di altre carote antartiche, come quella prelevata nel sito Dome C dal progetto Epica, sono emerse delle importanti differenze. Taldice ha ‘visto’ eventi che le altre non hanno registrato, specialmente durante i passati periodi caldi fino a 340mila anni fa.
Per spiegare questo fenomeno, il confronto è stato esteso a una carota di sedimento marino estratta nell’area costiera al largo del bacino subglaciale di Wilkes, riscontrando come nei periodi caldi i ghiacciai costieri subissero fenomeni di fusione e di migrazione verso l’interno del continente.
Il segnale di Taldice comunica quindi un abbassamento della quota del sito di Talos Dome dovuto alla fusione ed all’arretramento di margini costieri dei ghiacciai a causa dell’aumento della temperatura dell’Oceano Australe. Esperimenti effettuati con un modello che simula le dinamiche della calotta glaciale antartica hanno confermato l’ipotesi dei ricercatori.
“I ghiacciai costieri ospitati dal bacino subglaciale di Wilkes hanno subito un ritiro di circa 300 chilometri verso l’interno dell’Antartide tra 330mila e 320mila anni fa”, spiega Ilaria Crotti, autrice dello studio svolto durante il dottorato in Scienza e gestione dei cambiamenti climatici in co-tutela tra Ca’ Foscari e l’Univesità di Paris-Saclay. “Si tratta del maggior ritiro degli ultimi 350mila anni. Contribuì all’innalzamento del livello globale dei mari di 1 metro. Stimiamo che un minor ritiro dei margini di tali ghiacciai, nell’ordine di 100 metri, sia avvenuto invece tra 125mila e 115mila anni fa, contribuendo all’innalzamento livello globale del livello dei mari di mezzo metro”.
Tali risultati sono importanti perché queste informazioni sono preziose per comprendere come reagiranno in futuro ghiacciai costieri dell’Antartide Orientale, ancora poco studiati, all’aumento delle temperature atmosferiche e oceaniche.
Oltre ad Ilaria Crotti, lo studio ha coinvolto Barbara Stenni, professoressa all’Università Ca’ Foscari Venezia, Aurelien Quiquet e Amaelle Landais, di Lsce e Cnrs, e Massimo Frezzotti, professore all’Università Roma Tre.
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