Nei racconti popolari della tradizione,
il grano saraceno di Terragnolo – conosciuto anche come formentom – vede risalire l’origine della sua coltivazione intorno al XVI secolo mentre, secondo le fonti ufficiali, bisognerebbe aspettare il 1800 per la sua diffusione in
Val Terragnolo, la valle situata ai piedi del monte Maggio e del monte Pasubio in provincia di Trento, dove ha trovato l’ambiente ideale per la sua crescita.
Durante la Prima Guerra Mondiale,
a causa dello sfollamento verso l’Austria degli abitanti della zona, questa coltivazione ha corso il rischio di essere abbandonata per sempre, e se ciò non è accaduto è solo grazie ad alcuni agricoltori che, prima di partire, ne conservarono le sementi per redistribuirle agli altri valligiani una volta rientrati al loro paese.
L’etimologia di questo alimento è piuttosto curiosa: l’aggettivo saraceno non indica un’origine precisa, ma simboleggia genericamente una provenienza lontana. Il nome grano, poi, gli è stato attribuito perché la sua granella è simile a quella dei cereali, nonostante la famiglia botanica di appartenenza sia diversa. È questo, infatti, il motivo per cui il grano saraceno viene definito uno pseudo-cereale.
Particolarmente adatto ai territori di media montagna, essendo in grado di resistere al freddo e per il suo bisogno di un apporto regolare di acqua, il grano saraceno di Terragnolo si semina tradizionalmente in un arco di tempo che va da fine giugno a fine luglio, per poi essere raccolto a mano a fine settembre. Al momento della raccolta,
le spighe non hanno ancora raggiunto la piena maturazione: l’ultima fase, infatti, si ottiene grazie alle donete, fasci caratteristici che ricordano la sagoma di una figura femminile con una lunga gonna, in cui le spighe vengono raggruppate prima di essere portate nei campi per essiccare.
«Ciò che è importante specificare – commenta Riccardo Scrinzi, referente dei produttori del Presidio – è che questa nostra varietà di grano è diversa sia da quelle che si trovano in commercio sia da altre molto celebri, come quella della Valtellina. Storicamente, il grano saraceno ha rappresentato per gli agricoltori una coltura intercalare: con il suo ciclo di crescita molto breve costituiva infatti un raccolto aggiuntivo e quindi, specialmente in una logica di agricoltura di sussistenza, una possibilità in più per sfamare la propria famiglia». Come spiega Tommaso Martini, referente Slow Food del Presidio, «quest’anno e il prossimo i raccolti non saranno ancora significativi, perché gli appezzamenti di terreno dedicati a questa coltura sono pochi e di piccole dimensioni. In questa prima fase di nuova vita per il grano saraceno, desideriamo però che venga posto l’accento sull’importanza di tutelare i territori della Val Terragnolo, questa nostra terra poco lontana da Rovereto che purtroppo negli ultimi decenni, a causa di problematiche comuni a molte altre terre alte, ha subìto spopolamento e abbandono». Dal grano saraceno si possono ottenere cruschello, granella decorticata e farina. Quest’ultima, vista l’assenza di glutine, non può essere utilizzata in via esclusiva per fare il pane, ma va sempre miscelata ad altre polveri. Ne derivano piatti celebri come la polenta mora, citata dal Manzoni come polenta bigia di grano saraceno.
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