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Dalla Sardegna tre formaggi di pecora diventano Presìdi Slow Food

Pubblicato il: 16/11/2020
Autore: Redazione GreenCity
È il primo passo per supportare produttori che non si arrendono alle logiche dell’industria casearia. Ora la sfida è coinvolgere nuovi pastori.
In Sardegna, dove vivono un milione e mezzo di persone, vengono allevati circa tre milioni di pecore. Un numero di capi che garantisce il 70% del totale del latte ovino prodotto in Italia. Gran parte - oltre il 50% - viene lavorato per diventare Pecorino Romano Dop, il cui prezzo di vendita influisce sulla cifra corrisposta agli allevatori per il latte conferito ai caseifici industriali, che lo producono. 
Il meccanismo è piuttosto semplice: quando il prezzo del formaggio sale, cresce anche quello del latte. E viceversa. Di questo sistema, e delle sue storture, se n’è parlato spesso all’inizio del 2019, quando molti pastori sardi hanno protestato per il prezzo, sceso ad appena 60 centesimi al litro. Proprio in quelle settimane Slow Food intensificava la propria attività di ricerca in Sardegna, con l’obiettivo di individuare produzioni artigianali e d’eccellenza, rispettose dell’ambiente e del territorio d’origine, da proteggere e sostenere. In questo modo sono nati tre nuovi Presìdi Slow Food: il pecorino dell’alta Baronia, la fresa di Ittiri e l’axridda di Escalaplano sono supportati dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Pecorino dell’alta Baronia
«A 35 anni, una dozzina d’anni fa, mi sono licenziato e ho lasciato il posto fisso da agente penitenziario. Sentivo che mancava qualcosa nella mia vita… così ho chiesto una mano a mio padre, che ha sempre fatto il pastore e prodotto i formaggi, e ho imparato anch’io». Gianni Mele vive a Lodè, nel Nuorese - nord-est della Sardegna - e oggi fa il pecorino. Si chiama pecorino dell’alta Baronia, dal nome dell’area sita nel parco naturale dell’Oasi di Tepilora, ed è un nuovo Presidio Slow Food.  Si tratta di un formaggio a latte crudo di forma cilindrica, con un diametro di 25-40 cm e un peso che oscilla tra i 3 e i 10 chili. Gianni ne produce di due tipi: uno con stagionatura superiore ai sei mesi e uno semistagionato, lasciato riposare per un tempo che va dalle nove settimane ai sei mesi.
«I nostri padri facevano questo lavoro con passione, ognuno produceva il proprio formaggio, imparando da nonni e bisnonni che tramandavano quei piccoli “segreti” che caratterizzano il sapore di ogni forma. Io ho studiato, cercato di capire perché, e in che modo, il formaggio cambi ogni volta. Ho compreso che il formaggio è fatto di tanti tasselli, dal pascolo agli attrezzi utilizzati, dalla salamoia al modo in cui lo si lo affina. Il mio vuole essere un formaggio naturale che racconti l’identità e le unicità del territorio dove nasce», come ad esempio i lentischi e i corbezzoli che arricchiscono la macchia mediterranea della zona e di cui si cibano gli ovini.  «Il Presidio Slow Food è un’opportunità: apre tante strade ai giovani, che spero tornino a fare questo lavoro che richiede fatica ma sa dare soddisfazioni e con cui facciamo vivere il nostro territorio. Sogno che nasca, un giorno, un consorzio di questo pecorino».

Fresa di Ittiri
Un centinaio di chilometri più a ovest, tra Sassari ed Alghero, si trova Ittiri, cittadina da poco meno di diecimila abitanti. Qui si produce un formaggio di pecora fresco: «È un’anomalia - spiega la produttrice Rosa Canu - perché il formaggio di pecora per antonomasia è quello stagionato». Le ragioni sono da ricercare nella storia: le alte temperature dei mesi estivi tendevano a far gonfiare il formaggio che per questo motivo veniva avvolto in panni di cotone e pressato. Una lavorazione particolare che consentiva, in una ventina di giorni appena, di portarlo in tavola pronto per essere consumato.  «È un formaggio di consistenza molto morbida e il cui sapore è più delicato di quello a cui si è abituati pensando al pecorino sardo, con una punta acidula» prosegue Rosa.
La passione per la fresa - il cui nome deriva dal termine latino fresus, cioè “schiacciato” - gliel’ha tramandata la madre, che come molte donne di Ittiri tradizionalmente si prendeva cura della fresa. I formaggi, e non solo la fresa, nella sua famiglia si sono sempre fatti: «Una quarantina d’anni fa mio padre decise di cominciare a lavorare il latte in prima persona, rinunciando a conferirlo ai grandi caseifici industriali della zona» rivela. «Continuiamo a produrlo seguendo la tradizione, così come lo faceva mio padre e gli altri pastori della zona». Oggi il minicaseificio della famiglia Canu è l’unico a vendere la fresa di Ittiri, ma altri pastori continuano a produrla per il consumo familiare: «Mi auguro che, grazie al Presidio, altri pastori decidano di seguirci per valorizzare questo formaggio, assicurando reddito al territorio e tramandando una tradizione così particolare».

Axridda di Escalaplano
Pascolo allo stato semibrado, niente mangimi e una lavorazione particolarissima, che prevede che le forme di pecorino vengano messe a stagionare ricoperte da uno strato di argilla. È l’axridda di Escalaplano, un pecorino la cui lavorazione, anche in questo caso, è diretta conseguenza delle condizioni climatiche del territorio di origine. «Quando le forme di pecorino sono già piuttosto compatte, dopo almeno cinque mesi, vengono ricoperte di argilla, estratta da una cava poco distante da Escalaplano» spiega il produttore Rino Farci. Così si conservano per molto tempo, anche per tre anni, senza mai diventare troppo asciutte. 
 «Produco e vendo da tre anni - prosegue Rino - Questo formaggio era una pratica comune in paese, lo facevano tutti come pure mio padre Francesco, ma a un tratto nessuno ha più voluto continuare, alimentando il rischio che scomparisse per davvero. Allevare pecore, d’altronde, non è facile. La pastorizia vive una crisi decennale: molti pastori sono nelle mani di alcuni gruppi industriali che, invece di valorizzare il latte ovino, sfruttano il loro lavoro corrispondendo prezzi bassissimi. Oltretutto spesso pastorizzano il latte, ma così facendo il pecorino si omologa, diventa tutto uguale, e si cancellano di fatto le peculiarità dei territori».
Territori che, secondo Rino Farci, sono invece l’anima del formaggio: «Noi alleviamo in modo biologico, naturale, e mediamente abbiamo due pecore a ettaro. Credevo di essere l’unico a pensarla in un certo modo, e invece il riconoscimento come Presidio Slow Food mi ha fatto capire che molte persone stanno dalla nostra parte».


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