Si allarga la famiglia dei Presìdi Slow Food in Friuli-Venezia Giulia: gli ultimi due, in ordine di tempo, a venire presentati sono l’oliva Bianchera, nella zona di Trieste e del Carso, e il malon, una zucca a pasta bianca da lungo tempo coltivata nelle valli del Natisone.
Fuochi d’artificio
«L’olio di Bianchera io lo definisco pirotecnico, nel senso che in bocca restituisce una sensazione piccante e amara molto importante. Un olio acceso, che scalda il cuore». Con queste parole Stelio Smotlak, referente Slow Food del neonato Presidio dell’oliva Bianchera, ci introduce alla scoperta di quest’angolo d'Italia a due passi dalla Slovenia e alla cultivar originaria della zona di San Dorligo della Valle e di Muggia. «Si tratta di una pianta rustica e vigorosa – spiega Smotlak – perfettamente adattata al clima rigido e ai terreni calcarei e maroso-arenaici. Una zona sferzata dal vento di bora, caratterizzata da una forte escursione termica e da inverni freddi. L’adattamento naturale ha fatto sì che la pianta sviluppasse polifenoli per proteggersi e sostenersi: sostanze che, per noi che godiamo dei suoi frutti, rendono l’olio estremamente interessante».
Gli olivi di varietà Bianchera sono caratterizzati da lunghi rami fruttiferi, con foglie di media grandezza, strette, lunghe e lanceolate. «E il peduncolo è veramente robusto – prosegue Smotlak – tanto che la raccolta, fatta a mano, richiede una certa forza». In tutta la regione Friuli-Venezia Giulia, la superficie destinata all’olivicoltura si aggira intorno ai 300 ettari, di cui circa 45 nella provincia di Trieste. Numeri ridotti, oltre che per le dimensioni contenute del territorio, anche a causa di due annate particolarmente rigide, il 1929 e il 1985, nelle quali le gelate danneggiarono molte piante. «Abbiamo piccoli appezzamenti, che amo definire veri e propri orti di famiglia – conclude il referente Slow Food del Presidio –, perché vengono curati e coccolati proprio come fossero degli orti. Ho amici che vanno nel proprio oliveto ogni giorno e conoscono ogni pianta: qualcosa che, in aziende da cento ettari, naturalmente non si potrebbe fare».
In cucina, la Bianchera si abbina bene ai piatti tipici della tradizione gastronomica locale: dalla carne al pesce, fino ai piatti a base di funghi e le zuppe. L’unica accortezza è usarlo con parsimonia sulle pietanze dal sapore particolarmente delicato, per evitare che la forza dell’olio ne sovrasti il gusto.
Storie contadine
Cinquanta chilometri più a nord di Trieste è tutto un altro mondo: le valli del Natisone, che da Cividale del Friuli si sviluppano a ventaglio in direzione nord-est, sono un assaggio delle Alpi. È da qui che arriva il malon, una zucca a pasta bianca dalla forma cilindrica-tondeggiante e la buccia liscia, può raggiungere una lunghezza di circa 40-50 centimetri e un diametro di 30-40. Un alimento che, da queste parti, è da sempre una risorsa per tutti, non solo gli esseri umani: «Storicamente il malon veniva coltivato prevalentemente per l’alimentazione degli animali» racconta Caterina Dugaro, referente dei produttori del Presidio Slow Food. «Veniva data da mangiare ai maiali e ai bovini, oppure tagliata in pezzi e lasciata a disposizione delle galline e delle anatre affinché la beccassero». Ma il malon sa rivelarsi prezioso anche in cucina: «Per l'alimentazione umana, il frutto si utilizza quando la buccia è ancora verde e la polpa tenera» aggiunge. Le ricette della tradizione vedono il malon utilizzato in una minestra chiamata briza o zupa malonova, nella quale la polpa viene grattugiata e messa a macerare nella batuda (cioè il latticello, il latte vaccino appena munto lasciato inacidire) con l’aggiunta di fagioli e, a seconda delle varianti, patate e farina di mais abbrustolita nello strutto o nel burro. Lo si può trovare anche grattuggiato e stufato in un tegame con aglio, alloro e una base grassa, per accompagnare la carne, oppure come ingrediente dello stakanje, un pestato a base di verdure e patate.
Un ingrediente povero ma versatile, il malon, ma con una lunga storia contadina alle spalle. «Un tempo era di uso comune: ricordo bene che, a casa mia, la nonna e la mamma lo usavano abitualmente» aggiunge Gianfranco Topatigh, referente Slow Food del Presidio del malon. «Ai tempi non c’era niente di eroico nell'usare il malon in cucina. Poi, lo spopolamento e il depauperamento del tessuto sociale di questa zona, come è successo in molte altre aree interne del nostro Paese, hanno fatto sì che la coltivazione andasse perdendosi. La logica di avviare un Presidio Slow Food è quella di ridare dignità a qualcosa che stava scomparendo, ma non come puro e semplice ricordo dei bei tempi andati: significa riconoscerne le potenzialità economiche, benché piccole, ad esempio nella filiera della ristorazione».
Una potenzialità concreta, conferma Dugaro: «Nella cucina del nostro agriturismo, in una stagione utilizziamo quasi una ventina di maloni. Siamo molto contenti della nascita del Presidio Slow Food e di contribuire a stimolare la ristorazione a non dimenticarsi di prodotti che rappresentano un valore aggiunto: quello di portare in tavola pietanze che altrove non si possono gustare. E, da quando abbiamo cominciato a parlare di Presidio, abbiamo già notato più interesse».
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Categorie: Green Life
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