Si è giunti all'apertura delle
seconda settimana di lavori della
Conferenza sui cambiamenti climatici delle
Nazioni Unite. La prima parte del vertice ha visto le delegazioni degli oltre 190 Paesi presenti ritrovarsi sull'indicazione di fermare la corsa al rialzo della temperatura media a 1,5-2 gradi, di fatto una possibilità di abbassare ulteriormente il tetto di riferimento e, di conseguenza, alzare gli impegni.
Tuttavia, al momento manca ancora la
volontà politica di arrivare ad un
accordo vincolante e il riferimento a impegni precisi e numeri certi.Le distanze sono emerse chiaramente nella
riunione informale del gruppo ristretto dei 45 Paesi leader che si è svolta domenica pomeriggio in una delle sedi del Governo danese.
Al termine dell'incontro, il Ministro dell'Ambiente italiano,
Stefania Prestigiacomo, ha parlato di
posizioni ''molto lontane''. «A volte - ha detto il Ministro - sembra di assistere a un
dialogo fra sordi. E' necessario uno sforzo straordinario e una motivazione ancora più forte per poter giungere ad una intesa qui a Copenhagen». «In particolare - ha spiegato Prestigiacomo - sembrano distanti e speculari le posizioni di
Cina e
Stati Uniti che insistono sull'esigenza che siano gli Usa da un lato e i Paesi emergenti dall'altro ad assumersi impegni chiari di riduzione delle emissioni senza fare aperture sulle proprie disponibilità ad impegni vincolanti». L'Europa «superando le differenti impostazioni esistenti fino a qualche mese fa - ha proseguito Prestigiacomo - ha ribadito la propria posizione univoca e chiara: senza impegni di Stati Uniti, Cina e degli altri grandi Paesi emergenti si rischia di replicare il fallimento di Kyoto, che è poi il fallimento delle politiche internazionali di
riduzione dei gas serra».
«Se Copenhagen deve essere l'occasione per "
salvare il Pianeta" - ha concluso il ministro - non può essere il luogo della replica di un accordo che non ha aiutato l'ambiente, visto che da quando è stato firmato le
emissioni globali sono aumentate del 40% e continuano a crescere
ۚ».L'
Italia resta dunque fra i capofila della proposta dei Paesi dell'Unione Europea di aumentare il loro taglio di emissioni dal 20 al 30% entro il 2020 con riferimento al 1990. Una posizione che troverà attuazione solo nel quadro di un accordo globale ambizioso che preveda il contributo di tutti i principali attori del negoziato.
Intanto sul tavolo delle trattative restano almeno due documenti: uno nell'ambito della
Convenzione Onu sul clima, l'altro all'interno del gruppo del
Protocollo di Kyoto. Ma la quadratura del cerchio potrebbe arrivare martedì con la presentazione di una nuova
bozza della
presidenza danese che dovrebbe definire meglio i contorni del testo base sul quale i capi di Stato e di governo, che arriveranno a metà della prossima settimana, dovranno confrontarsi ufficialmente.
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