In vista della
Giornata Mondiale dell'acqua del 22 marzo,
Greenpeace ha pubblicato il rapporto "
Panni Sporchi 3" che rivela come alcune sostanze pericolose usate per la produzione di abiti di grandi marche dell'abbigliamento vengono rilasciate nell'ambiente dopo il lavaggio degli articoli in lavatrice. Una volta disperse in acqua, queste sostanze non sono trattenute dai sistemi di depurazione e si trasformano in
nonilfenolo, un composto tossico e in grado di alterare, anche a livelli molto bassi, il sistema ormonale dell'uomo.
L'indagine di Greenpeace, condotta su quattordici prodotti tessili di vari marchi fra cui
Kappa, Ralph Lauren e Calvin Klein, misura per la prima volta la variazione delle quantità di nonilfenoli etossilati presenti nel tessuto prima e dopo il lavaggio domestico. In quasi la metà dei campioni, oltre l'80 per cento di nonilfenoli etossilati presenti nel tessuto appena comprato sono fuoriusciti dopo un solo lavaggio.
«I risultati di questa indagine dimostrano che l'impatto dell'industria dell'abbigliamento non si ferma al Paese di produzione ma arriva ai Paesi consumatori creando un ciclo globale dell'inquinamento tossico. Le aziende tessili devono affrontare il problema e impegnarsi per l'eliminazione delle sostanze pericolose nell'intera filiera» afferma
Vittoria Polidori responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace.
Nel 2011, le ricerche condotte da Greenpeace hanno prima evidenziato gli scarichi inquinanti dell'industria tessile nei fiumi della Cina e poi trovato tracce di nonilfenoli etossilati negli abiti di grandi firme dell'abbigliamento prodotti nei Paesi emergenti e venduti in occidente.
La campagna "Detox" di Greenpeace ha convinto prima i leader dell'abbigliamento sportivo
Puma, Nike, Adidas e poi altre tre aziende fra cui
H&M, Li-Ning e C&A a impegnarsi per eliminare tutti gli scarichi tossici nella catena di fornitura e nei prodotti in commercio, entro il 2020.
«Anche se l'uso di nonilfenoli etossilati nell'industria tessile è bandito nell'Unione europea, queste sostanze pericolose continuano ad arrivare tramite canali di mercato. In un certo senso, le aziende rendono i consumatori complici inconsapevoli dell'inquinamento delle risorse idriche» conclude Polidori.
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