Il fumo che esce dalle ciminiere delle centrali elettriche a carbone, in Europa, uccide più di due persone all’ora. È questo il dato più allarmante del nuovo rapporto
“Silent Killers” di Greenpeace.
Lo studio, basato su una ricerca condotta dall’Università di Stoccarda, evidenzia gli impatti sanitari dell’inquinamento prodotto dalla combustione del carbone nei Paesi dell’UE: 2
2.300 morti premature – su base annua – equivalenti alla perdita di 240.000 anni di vita. I fumi delle centrali censite nella ricerca determinano, inoltre, la perdita di 5 milioni di giornate lavorative.
Secondo questo rapporto, nel 2010 (l’anno a cui vanno riferiti tutti gli impatti stimati) il carbone ha causato in Italia 521 morti premature, equivalenti a 5.560 anni di vita persi, e determinato la perdita di 117.000 giornate di lavoro.
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Le circa
300 centrali a carbone funzionanti in Europa producono un quarto dell’energia elettrica consumata nell’Unione ma producono il 70 per cento degli ossidi di zolfo e più del 40 per cento degli ossidi di azoto provenienti dal settore elettrico. Queste centrali sono la fonte di circa la metà di tutte le emissioni industriali di mercurio e di un terzo di quelle di arsenico ed emettono quasi un quarto del totale delle
emissioni europee di CO2.
I Paesi maggiormente colpiti dalle emissioni del carbone, in termini sanitari, sono la Polonia (più di 5.000 morti premature l’anno), la Germania, la Romania e la Bulgaria. Le aziende maggiormente responsabili di questi impatti sono, invece, la PGE (polacca), RWE (tedesca), Vattenfall (svedese), PPC (greca) e Enel (italiana, compresa la controllata Slovenské Elektrárne).
Pertanto Greenpeace chiede all’Unione Europea di:
- fissare
nuovi obiettivi vincolanti di sviluppo delle rinnovabili (45%), di abbattimento dei gas serra (55%) e di efficienza energetica per il 2030;
- di arrivare a
porre fine all’”età del carbone” al più tardi entro il 2040.
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