Sono passati quattro anni dal
disastro nucleare di Fukushima che si verificò l’11 marzo 2011, in seguito al maremoto e allo tsunami, con la fusione dei noccioli di tre reattori della centrale. L’incidente, come
Greenpeace valutò per prima, venne classificato dall'AIEA (Agenzia internazionale per l’energia atomica) al grado 7, il massimo grado della scala, prima raggiunto solo dal disastro di Cernobyl.
Oltre
150 mila persone furono costrette ad abbandonare le loro case per sfuggire alla contaminazione radioattiva. Di queste, 120 mila persone non hanno ancora fatto ritorno a casa e
il processo di decontaminazione sembra non aver fine, perché le montagne coperte di foreste e i fiumi rilasciano continuamente radioattività che raggiunge zone in precedenza decontaminate.
Residui radioattivi si trovano ora in 54 mila diversi siti all’interno della Prefettura di Fukushima, inclusi parcheggi e parchi pubblici. Le stime ufficiali parlano di
15-28 milioni di metri cubi di rifiuti atomici.
Nonostante il progressivo arresto di tutti i 48 reattori giapponesi (che coprivano circa il 30 per cento della produzione elettrica) e sebbene non sia stato più prodotto un solo kilowattora da energia nucleare negli ultimi 18 mesi,
non si è mai registrato finora alcun blackout.
Al contrario si è assistito a interventi massici di efficienza energetica e
a un’espansione significativa delle rinnovabili: dopo la Cina, il Giappone è stato il secondo Paese al mondo per installazione di pannelli fotovoltaici nel 2013 e l’efficienza energetica ha consentito una riduzione dei consumi energetici pari a quella prodotta da tredici reattori atomici.
Uno dei problemi maggiori a Fukushima oggi è
il trattamento delle acque radioattive che vengono continuamente prodotte. L’azienda giapponese del nucleare, TEPCO, prevedeva di completare il trattamento delle oltre 300 mila tonnellate di acqua contaminata entro questo mese di marzo, ma ora la scadenza è stata spostata a maggio. Ogni giorno
occorrono 300 tonnellate d’acqua per raffreddare il nocciolo e il combustibile fuso in tre reattori, che si aggiungono all’acqua da decontaminare. A questa quantità se ne aggiungono altre 3/400 di acque sotterranee che passano quotidianamente dal sito e si contaminano.
“Un’emergenza che si trova ora la TEPCO è quella di ridurre il volume d’acqua di falda che entra nel sito di Fukushima” spiega
Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia. “L’idea che stanno studiando i tecnici è di costruire un muro di ghiaccio lungo un chilometro e mezzo attorno al sito, per ridurre a un terzo la quantità di acqua radioattiva che viene rilasciata nell’oceano. Il muro dovrebbe resistere sei anni, fino a quando i noccioli dei reattori saranno stati sigillati. L’efficacia di quest’operazione, mai tentata prima, anche secondo alcune fonti ufficiali è tutta da capire e rappresenta l’assurdità della situazione a Fukushima, destinata a durare decenni”.
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