Dopo il
fermo biologico del 2015, riapre oggi la pesca a strascico per i pescherecci iscritti nei compartimenti marittimi da Pesaro a Bari. Rispetto agli anni precedenti però c'è un'importante novità per gli stock di merluzzo e di scampi dell'Adriatico centrale, decimati da decenni di pesca eccessiva. Nell'area della
Fossa di Pomo, in parte situata anche in acque internazionali, i governi di Italia e Croazia hanno infatti adottato delle misure aggiuntive
per impedire la pesca a strascico e preservare un'area importante per la sua biodiversità marina e per la ricostituzione degli stock.
La pesca a strascico, particolarmente distruttiva per gli ecosistemi dei fondali marini, è vietata in quest'area dal 1998, quando parte della Fossa di Pomo venne designata come Zona di Tutela Biologica. Da allora, la mancanza di regolamenti attuativi e
la difficoltà di far applicare lo stesso divieto anche alla flotta croata, hanno di fatto vanificato la norma, consentendo che le attività illegali di pesca a strascico continuassero indisturbate.
«L'adesione della Croazia all'Unione europea nel luglio 2013 ha consentito di superare questi ostacoli, e di giungere oggi ad un importante risultato di cui va dato atto sia alla stessa Croazia che all'Italia», dichiarano
Greenpeace,
Legambiente,
Marevivo,
MedReAct e
WWF.
«Accogliamo con favore le nuove misure di tutela della Fossa di Pomo, e ci aspettiamo controlli severi da parte delle Capitanerie, per evitare il perdurare della pesca illegale. Proteggere la Fossa di Pomo dovrebbe essere un interesse primario dei pescatori, considerando che al suo interno si trovano le più importanti area di riproduzione dell'Adriatico di specie ittiche ad alto valore commerciale».
Nell'Adriatico centro-settentrionale, una delle zone più importanti per il settore della pesca nazionale, lo sforzo di pesca
sugli stock di nasello è più che triplo rispetto alla soglia di sostenibilità. Per rientrare entro il 2020 nei parametri richiesti dalla Politica Comune della Pesca europea, occorrerebbe una riduzione dello sforzo di pesca di oltre il 70 per cento rispetto ai valori attuali. L'istituzione di
Zone di Tutela Biologiche, ovvero di aree chiuse alle attività di pesca più impattanti, costituisce uno strumento fondamentale per tutelare e recuperare gli ecosistemi marini, anche in acque internazionali dove fino ad oggi sono mancate serie iniziative di tutela e conservazione.
«Il nostro auspicio è che anche il settore della pesca si renda finalmente conto della necessità di ripopolare il mare, e allo stesso tempo la smetta di continuare a difendere un
modus operandi che sta solamente svuotando i nostri mari, a causa di una visione miope, finalizzata solo al profitto a breve o brevissimo termine», concludono le associazioni ambientaliste.
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