Con quasi ottomila chilometri quadrati di foresta tropicale abbattuta, il 2018 ha segnato l'
annus horribilis per
l'Amazzonia e per la biodiversità che la abita. Persino il suo rappresentate più antico - stabile sulla Terra da 50 milioni di anni, dotato ancora di una proboscide prensile retaggio di un'evoluzione che ha attraversato indenne molte ere - è oggi classificato come "vulnerabile" di estinzione e nei soli ultimi 30 anni ha perso il 30% dei suoi esemplari.
Ma il
tapiro terrestre sudamericano non sembra volersi arrendere e ha dimostrato ai ricercatori che dove l'uomo porta distruzione, egli è in grado di riportare la vita. E non attraverso nuove nascite, che impiegherebbero decenni per risalire la china, ma grazie a una risorsa più rapida e meno impegnativa: le proprie feci. Pubblicato sulla rivista scientifica "Biotropica", lo studio è stato diffuso dal
Parco Natura Viva di Bussolengo in occasione della Giornata Mondiale del Tapiro che si celebra ogni anno il 27 aprile.
"Il tapiro è sempre stato considerato il "giardiniere della foresta" grazie alla sua capacità di disperdere sulle lunghe percorrenze i semi dei frutti che mangia", spiega
Caterina Spiezio, responsabile del settore ricerca e conservazione del Parco Natura Viva. "Ma nessuno finora aveva mai scoperto che questo animale si spinge a errare anche oltre i limiti della foresta incontaminata, dove gli uomini hanno bruciato o abbattutto la biodiversità vegetale. Ed è proprio nelle zone degradate del Mato Grosso che - da gennaio a settembre 2016 - i ricercatori hanno registrato una permanenza dei tapiri lunga il doppio rispetto alle zone incontaminate, il che - grazie a rilievi aerei, foto trappole e monitoraggio in campo - ha restituito una presenza di feci tripla rispetto a quelle lasciate in foresta". Secondo i ricercatori, ad attrarre i tapiri
sono alcuni piccoli germogli che spuntano dalla terra, grazie alla maggiore luce che colpisce il suolo della foresta spoglia.
"Questo ha permesso di capire che un animale di 250 chili - prosegue Spiezio - potesse essere il veicolo più prezioso per la rigenerazione dell'habitat forestale". E a ragione: i ricercatori hanno contato nelle feci di tapiro 129.204 semi appartenenti a 24 diverse specie di piante
(peraltro 6 di queste sconosciute fino a quel momento), perfettamente ingeriti, digeriti, rilasciati sul terreno e in grado di dare vita a nuovi alberi. Un metodo rapido e poco dispendioso per combattere deforestazione, scomparsa della biodiversità e cambiamento climatico, "suggerito" da un animale che di evoluzione se ne intende.
Purtroppo però, sarà ancora una volta l'uomo a dover scegliere se imboccare la via della distruzione o quella della rigenerazione.
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