Non è solo attività ‘passiva’ quella che avviene quando le chiome degli alberi interagiscono con composti inquinanti dell’azoto in atmosfera, ma anche attiva, ed avviene ad opera di microrganismi che fino ad ora si pensava fossero presenti solo nel suolo. La scoperta di questa importante attività di trasformazione dei composti dell’azoto (ammonio e ammoniaca) in nitrati – la cosiddetta nitrificazione – è riportata in uno studio, pubblicato su Nature GeoScience, guidato da Rossella (Maria Rosa) Guerrieri, professoressa associata al Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna.
Il processo della nitrificazione è molto importante perché aumenta la disponibilità di nitrati, una delle forme di azoto comunemente assorbita dagli alberi. Tuttavia, un eccesso di nitrati nel suolo può, ad esempio raggiungendo la falda, compromettere la qualità dell’acqua, così come anche la crescita degli alberi stessi. Il gruppo di ricerca internazionale coordinato dalla professoressa Guerrieri ha scoperto che a compiere questa trasformazione "attiva" negli alberi sono microrganismi presenti sulle foglie.
"Ero affascinata dall’importante ruolo ecologico che hanno le foglie di assorbire l’anidride carbonica, utilizzandola per produrre poi i mattoncini che costituiscono la biomassa legnosa, dove si stocca il carbonio", spiega Guerrieri. "Ma un’altra funzione delle foglie è quella di trattenere parte degli inquinanti presenti in atmosfera".
Ricerche precedenti avevano già dimostrato che gli alberi, grazie alla cuticola delle foglie e alla loro struttura morfologica (ad esempio presenza di peli), svolgono una funzione di filtro passivo.
"Ciò che arriva dall’atmosfera si deposita sulle foglie ma, in alcuni casi, la quantità rilasciata sotto le chiome è minore di quella che arriva dall'atmosfera, in termini di composti dell'azoto: questo significa che le chiome trattengono queste sostanze", aggiunge Guerrieri. "Diversamente, in caso di piogge, a fronte di un elevato inquinamento atmosferico, una maggiore quantità di composti dell’azoto arriva al suolo: in sostanza, le foglie non riescono, con la pioggia, a trattenere più di tanto".
Questo meccanismo è sempre stato spiegato col fatto che parte di questi composti sono in forma secca: si depositano, si accumulano e, quando piove la chioma viene "lavata". Invece, se le concentrazioni sono molto basse, parte di questo azoto, di fatto, viene assorbito dalle foglie e non scivola giù.
"Tuttavia a me non convinceva che si trattasse di un semplice meccanismo passivo", spiega Guerrieri. "Consapevole di quanta biodiversità si trovi nelle foreste, e in particolare nelle chiome, ho iniziato a chiedermi se, invece, questo processo non dipendesse dall’intervento di microrganismi che vivono sulle foglie".
Per cercare conferme di questa ipotesi, il gruppo di ricerca ha utilizzato una tecnica fino a pochi anni fa impiegata solo in campo medico: la Next Generation Sequence Analysis (NGS), che consiste nel sequenziamento massivo del DNA dei microrganismi prelevati direttamente da campioni ambientali, così da avere un’istantanea degli organismi che vivono in un dato ambiente.
Guerrieri ha applicato questa tecnica al campo dell’ecologia forestale e, ancor di più, non al suolo ma alle chiome degli alberi. Ha selezionato una decina di foreste di faggio (latifoglia) e pino silvestre (conifera) rientranti nella rete di monitoraggio europea dell’ICP Forests, partendo da zone poco inquinate (paesi scandinavi) a quelle molto inquinate (Belgio, Svizzera e parte della Gran Bretagna), fino a quelle mediamente inquinate che si affacciano sul Mediterraneo.
Sono state quindi analizzate le acque di precipitazione raccolte in contenitori posizionati sia sotto le chiome degli alberi che fuori dal bosco, mentre aghi e foglie sono stati campionati da diverse porzioni delle chiome degli alberi da treeclimber professionali. È stato un campionamento intensivo, reso possibile grazie ai diversi ricercatori che studiano queste foreste da quasi trent'anni.
"Combinando analisi molecolari e analisi chimiche molto sofisticate siamo riusciti a dimostrare la trasformazione biologica che avviene nelle chiome", dice ancora Guerrieri. "Abbiamo, inoltre, rilevato che il processo di nitrificazione aumenta all'aumentare dell’azoto in arrivo dall’atmosfera alle piante. Di conseguenza, i valori più alti li abbiamo riscontrati nei siti più inquinati a prescindere dalla specie".
I risultati mostrano insomma che il processo di nitrificazione avviene non solo nel suolo ma anche nelle chiome, a seconda di quanto inquinamento è presente in atmosfera.
"La funzione che svolgono questi microrganismi è cruciale perché senza questa trasformazione biologica ad opera dei nitrificanti presenti sulle foglie, le chiome tratterrebbero, anziché rilasciare, i nitrati, con conseguente riduzione del loro input al suolo", conclude Guerrieri. "Questo potrebbe avere implicazioni importanti, soprattutto in foreste dove c’è più azoto nel suolo di quello di cui le piante e i microrganismi necessitano, perché, tra le altre cose, favorirebbe il ritorno dell'azoto in atmosfera sotto forma di gas serra".
Lo studio è stato pubblicato su Nature GeoScience con il titolo "Substantial contribution of tree canopy nitrifiers to nitrogen fluxes in European forests". Per l'Università di Bologna hanno partecipato Rossella Guerrieri del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari insieme a Marco Candela e Silvia Turroni del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie.
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Categorie: Ambiente
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